I 40 ANNI DI “THE WALL”: IL SUCCESSO SENZA TEMPO DEI PINK FLOYD
Gli anni 70 rappresentano senza dubbio un anno importante per il panorama musicale internazionale. E mentre il punk dei sex Pistols e l’energia dei Clash risuonavano in tutte le teste degli adolescenti di tutto il mondo, proprio alla fine del mitico decennio, il 30 novembre del 1979, i Pink Floyd davano vita al loro undicesimo album, nonché ad uno dei più grandi successi di sempre: “The Wall”.
L’album, con le sue 26 tracce, si incentra sulla storia di Pink, nome fittizio di una rockstar, che si rifugia e si isola nel muro mentale dei propri sentimenti.
“The Wall” è un titolo emblematico: il muro descritto da Roger Waters è il protagonista di gran parte della sua vita che, assumendo sempre significati diversi, ma allo stesso modo contigui, l’artista riesce a trasmettere grazie al filo conduttore rappresentato proprio da Pink.
Il muro di cui si parla è un muro psicologico: il muro della solitudine, dell’isolamento, della malattia mentale; il muro che separa gli individui dalla realtà. L’album rappresenta un chiaro riferimento a Syd Barrett, lo storico fondatore dei Pink Floyd, affetto da schizofrenia, il quale aveva da poco abbandonato la band.
Ma per Waters “The Wall” è anche molto di più: è il muro che separa gli artisti e la fama dal mondo reale, che li fa sprofondare in un isolamento invalicabile. E’ il muro della solitudine che deriva dal trauma personale di non aver mai conosciuto il proprio padre, morto durante la seconda guerra mondiale, e di aver vissuto con una madre iperprotettiva.
“The Wall” si apre con il singolo “In The Flesh?”, e le prime 6 tracce raccontano l’infanzia di Pink: questa prima fase si chiude con l’emblematica traccia “Mother”: “Of course mama’s gonna help build the wall”, cioè “Naturalmente mamma aiuterà a costruire il muro”, un chiaro riferimento all’inizio della strada verso l’isolamento, anche a causa dell’iperprotettività della sua figura materna.
Da qui si può dire che parte l’escalation verso la follia, nonostante la resistenza che Pink cerca di opporre (come si legge fra le righe di “Hey You”), escalation resa evidente da brani come “Comfortably Numb”, scritta da David Glimour, che riporta una conversazione immaginaria tra Pink ed il medico che lo soccorre a causa di un malore prima di un concerto: Pink, stordito e intorpidito, risponde alle domande del medico ricordando i momenti della propria infanzia, e aggiungendo “This is not how I am” (Questo non è ciò che sono), chiaro riferimento alla trasformazione avvenuta in lui dopo il suo successo.
Le ultime due tracce di “The Wall”, rappresentano il tentativo di abbattere il muro, attraverso la propria introspezione, attraverso l’abbattimento liberatorio del proprio isolamento ed esponendosi alla realtà: “Since, my friend, you have revealed your deepest fear, I sentence you to be exposed before your peers: Tear down the wall” (Dal momento, che tu, amico mio, hai rivelato le tue paure più profondo, ti condanno ad essere esposto ai tuoi simili: butta giù il muro).
La traccia che chiude l’album è una leggera poesia, nonché la traccia dai toni più pacati di tutto l’album: “Outside the Wall”, che si apre con l’emblematico suono dei mattoni che cadono.
Qui le parole di Waters diventano inconfondibili : “Banging your heart against some mad bugger’s wall” (sbattere il tuo cuore contro il muro di un pazzo). La traccia, e quindi l’intero “The Wall” si chiudono con la frase: “Isn’t this where..”, che si ricollega inevitabilmente alla prima frase della prima traccia quindi “We came in”, rendendo evidente il circolo vizioso dell’isolamento mentale, che sa essere più forte e insidioso della volontà umana.
Il successo dell’album fu enorme: fu l’album più venduto negli Stati Uniti d’America nel 1980, divenendo uno degli album doppi più venduti nella storia. Si è inoltre posizionato all’87º posto nella lista dei 500 migliori album secondo Rolling Stone.